All’origine del made in Italy”. È il titolo di un mio libro scritto un bel po’ di anni fa in cui si narra la storia del marchio Cirio e del suo fondatore, Francesco Cirio: un piemontese naturalizzato campano di cui l’Italia va fiera e che, nel mezzo del secolo XIX° è stato artefice di un progetto imprenditoriale che ha rivoluzionato i costumi alimentari, non solo degli italiani.
Una storia antica ma attualissima per i valori insiti nel progetto che permisero al suo ideatore di avviare egli stesso le prime esportazioni di prodotti alimentari italiani in territori ben lontani. Quando i collegamenti tra paesi erano solo terrestri e marittimi, non certo con le autostrade di oggi.
Appunto, all’origine del made in Italy. Che per stare circoscritti al settore del vino, di cui s’è appena celebrata la consueta kermesse veronese del VinItaly, ha visto non pochi protagonisti produttori rimarcare iniziative che, traendo spunti dal passato, hanno trovato motivo di esaltazione del presente, guardando al futuro.
Dal primo Prosecco …
È questo il senso dell’azione che Carpené Malvolti, primaria Casa spumantistica del Trevigiano fondata da Antonio Carpené nel 1868, ha condensato nella ricerca “Una marca nel tempo” condotta dagli studenti della Scuola Enologica di Conegliano e dalla Fondazione Its Academy.
Ricerca che ha permesso a futuri enologi di scandagliare il percorso evolutivo di questa azienda che è stata tra le primissime a mettere in bottiglia il vino spumante e, per rimarcare un prodotto oggi di gran moda e successo, “la prima a utilizzare in etichetta la denominazione Prosecco”.
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… al vino di Leonardo …
Una storia a ritroso? Macché, solo il pretesto per passare da un vino spumeggiante a un personaggio universale e geniale come Leonardo da Vinci che, in occasione del cinquecentenario della sua morte, avvenuta il 2 maggio del 1519 ad Amboise, in Francia, è stato diciamo così omaggiato di un museo diverso rispetto a molti altri esistenti per la tematica trattata e inaugurato a suo nome, in quanto vignaiolo.
Proprio così. Per quei pochi che non lo sanno ancora, l’Artista, lo Scienziato, l’Inventore, il Genio è stato anche agronomo, enologo e proprietario di alcuni poderi a Milano, a Fiesole, a Vinci, città natale che lo vide correre bimbo tra le vigne di famiglia (che da grande riceverà in eredità da un suo zio), prima di andare a bottega dal Verrocchio a Firenze. E da lì prendere il volo per l’immortalità.
Il museo “Leonardo e il vino” si trova poco fuori Vinci, sul cocuzzolo di una dolce collina circondata da filari di vigna ben ordinati da sembrare il classico giardino all’italiana, di proprietà dell’azienda agricola che porta il suo nome: Villa da Vinci della Leonardo da Vinci Spa, controllata del gruppo Caviro, tra le più grandi cooperative vitivinicole della Penisola che, in questo modo, ha voluto rendere un tributo alla grandezza dell’uomo e a quanto egli ha fatto anche per la cultura del vino.
Di più. Dicono che il Genio aveva passione smisurata per l’agricoltura e la coltivazione della vite; per il vino che egli amava bere e che consigliava di consumare con sobrietà e mai a stomaco vuoto. Suggerendo al suo fattore di come fare un vino rosso vermiglio, il padre del Chianti, che per essere buono necessita portare in cantina uve mature e sane, prive di marciume.
Appunto, come ricordano gli scritti del Genio ripresi con puntigliosa precisione dai curatori del museo e del libro “Il vino di Leonardo” che non può non citare la vicenda dell’ettaro di vigna che l’Artista ricevette dall’allora Signore di Milano Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, alla consegna del Cenacolo di Santa Maria delle Grazie a Milano. Proprio di fronte a Casa Atellani, in Corso Magenta, dove da qualche anno è tornata a nuova vita la vigna di Leonardo da Vinci (foto, un particolare della vigna).
… ai vini del Vulcano
Dalla Toscana alla Campania. Da un museo appena inaugurato, a uno che sta per esserlo: quello che l’azienda irpina Mastroberardino ha realizzato nella cantina di casa, ad Atripalda. Un nome storico della vitivinicoltura italiana, il suo, di cui si ha notizia sin dai primi decenni del Settecento, quando Napoli era la capitale del Regno delle due Sicilie, sotto la giurisdizione dei Borboni.
Bisognerà però aspettare ancora quasi 150 anni (1878) per l ’iscrizione al registro delle imprese della CdC di Avellino. Ed è da quella data che la famiglia Mastroberardino intraprenderà l’attività produttiva e commerciale, che ben presto si traduce in apertura ai mercati esteri.
Ecco la campagna di Libia e conquista della Tripolitania nei primi anni del “secolo breve”, con i vini a marchio Mastroberardino che varcano per la prima volta il Mediterraneo. Ma anche sbarco su nuovi mercati realizzati ripercorrendo i flussi migratori degli italiani in Nord e Sud America.
Storie che narrano di figli che intraprendono viaggi di mesi in Paesi lontani, dove la cultura del vino non esisteva del tutto e, al ritorno a casa, fanno per filo e per segno il rendiconto di ogni loro spostamento e accadimento. Storie e dettagli di imprese che sono anche uno spaccato fedele di una nuova Italia che stava nascendo e che non avremmo mai saputo, se non fosse che la famiglia Mastroberardino ha deciso di raccogliere e rendere il tutto in qualche modo pubblico, grazie al “MiMa”.
Si tratta, appunto, del museo d’impresa che la proprietà e il presidente Piero Mastroberardino inaugureranno mercoledì 15 maggio ad Atripalda, all’interno della cantina scavata nella roccia del Vulcano. Quella stessa roccia da cui si nutrono le vigne di Aglianico con il superbo Taurasi, eppure vini come il Fiano, il Greco di tufo, la Falanghina, il …
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