A Fieragricola va in scena l’innovazione tecnologica mentre si affila lo scontro politico sulle annose quote latte

Arriva Fieragricola e, puntuale come un debito, Bruxelles chiama l’Italia sul banco degli imputati. L’accusa è da decenni sempre la stessa: quote latte e multe miliardarie da pagare per aver sfondato i tetti alla produzione.
Questa volta la sentenza della Corte di Giustizia recita di un’Italia inadempiente nel recuperare 1,3 miliardi di euro di pecunia, a carico non già della comunità nazionale ma dei responsabili della sovrapproduzione di latte tra il 1995 e il 2009.
Inevitabili i commenti degli allevatori e ancor più di esponenti politici di ogni colore, peraltro già fortemente contrapposti per la concomitante campagna elettorale. Ma quanto sentito nei giorni scorsi è solo un assaggio di quanto se ne saprà nei giorni dell’evento espositivo veronese, che apre i battenti domani (31-gennaio-3 febbraio), nel corso del quale è prevista anche una giornata tecnica (Milk day) dedicata alla zootecnia.
Non sarà certo solo questo argomento ad animare la 113° edizione di Fieragricola, punto di incontro internazionale per decine di migliaia tra espositori e visitatori professionali che animano le diverse facce dell’agroalimentare, dalle colture più tradizionali a quelle più evolute scientificamente. Come pure l’innovazione meccanica e le tecnologie applicate in agricoltura. Per non dire delle cifre collaterali dedicate al salone delle carni (Eurocarne) e alla filiera ortofrutticola (Fruit & Veg Innovation).
Appuntamento tecnico per eccellenza, Fieragricola é comunque un momento che si presta anche all’analisi e all’approfondimento di trend macroeconomici del settore in quanto tale. In questo senso prende corpo uno studio che l’ente fieristico scaligero ha commissionato all’istituto di ricerca Nomisma, con il focus puntato sulle influenze che l’agricoltura ha registrato dopo dieci anni di profonda crisi economica.
Ebbene, dalle prime indicazioni (dettagli assoluti verranno resi noti nei giorni di fiera) emerge un ticket gravoso per tutto il comparto, stante il fatto che nel decennio ha accusato pesanti perdite nel numero di imprese attive (-180mila unità) e tagli all’occupazione dell’8 per cento. Una cura dimagrante solo in parte compensata dalla tenuta del valore aggiunto, cresciuto del 3,9%, e un aumento del valore medio della produzione per azienda dell’88 per cento.
Insomma, frammenti statistici che permettono di definire la crisi quale “acceleratore della struttura, dei processi e della competitività delle imprese agricole italiane, alla stregua di un selezionatore naturale che ha sostanzialmente espulso le aziende più deboli, quelle a conduzione diretta meno strutturate e organizzate, ma anche chi non è riuscito a intercettare le tendenze di una domanda profondamente cambiata”.