La piazza su cui sorgerà l’Albero della vita, scultura e simbolo di #Expo2015, è al momento della visita inaccessibile, per via della gettata di cemento appena fatta. Ma ora che l’assegnazione dell’appalto ha imboccato la strada in discesa, nessuno dubita più sulla sua realizzazione. Certo è che gli appaltatori dovranno dare il meglio di sé e lavorare pancia a terra per essere puntuali con il primo di maggio, giorno dell’inaugurazione dell’Esposizione universale dal titolo evocativo “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Con tutto quel che ne consegue in materia di sana alimentazione, biodiversità e tutela dell’ecosistema (foto accanto il Padiglione dell’Azerbaigian).
Quel giorno, di per sé simbolico per la coincidente festa dei lavoratori, sarà un appuntamento importante per la storia di Milano e dell’Italia nel suo insieme: tutti pronti, non solo idealmente, ad aprire le porte di casa agli espositori di 140 paesi e alla loro cultura del cibo. Per non dire dei 20-25 milioni di viaggiatori attesi nei sei mesi di manifestazione. Di qui l’idea di andare a visitare e raccontare in anteprima a che punto sono i lavori e cosa sta germogliando all’interno del cantiere di Rho-Pero, cittadine della cintura a una manciata di minuti dal centro di Milano (foto in fondo, Pianta dell’area espositiva).
Potrà stupire, ma la cosa su cui buona parte delle persone ascoltate durante la visita si è detta convinta è il rispetto dei tempi di consegna delle opere in costruzione. E anche quando il cronista solleva qualche perplessità, cioè che vi sono strutture ancora allo stadio iniziale e spazi apparentemente abbandonati, la risposta non si è fatta attendere e non ha avuto tentennamenti: <Anche se qualche spazio resterà vuoto o qualche paese dovesse decidere di ritirarsi all’ultimo momento, vedrà che nulla resterà lasciato scoperto. Il primo di maggio qui la gente scoprirà l’esistenza un quartiere incredibilmente bello e interessante sotto molti punti di vista>, confida uno degli accompagnatori del gruppo di visitatori, mentre percorriamo le vie del Decumano e del Cardo affollate come un’autostrada nell’ora di punta. Con la differenza che qui circolano mezzi pesanti come una casa, betoniere, autogru e veicoli fuori dall’ordinario che trasportano pezzi di prefabbricati in legno e metallo da assemblare in loco.
Il commento, certo entusiasta, va parametrato al fatto che l’interlocutore in questo mega cantiere ci lavora da mesi, insieme ad altre tremila e passa persone suddivise su più turni tra giorno e notte (a fianco il Padiglione Usa). Commento che in un certo senso sigilla il pensiero del Commissario unico di Expo2015 Giuseppe Sala che, in occasione dell’accordo tra Expo e Consorzio di tutela del Franciacorta, ha parlato di stato avanzamento delle opere al 70-75 per cento. Non male a tre mesi dall’apertura. Ora, si può essere d’accordo o meno sullo stato dell’arte, ma è un fatto che nel cantiere vi sono lavori apparentemente mai iniziati, altri che avanzano tranquilli e altri ancora prossimi alla consegna.
È il caso del cluster destinato a ospitare i paesi produttori di cacao e riso (foto a fianco), i cui contenuti sono stati sviluppati dalle Università Cattolica del Sacro Cuore e degli Studi di Milano Bicocca. Si tratta di sedici costruzioni con strutture in legno lamellare realizzate dall’impresa Moretti Interholtz di Erbusco, con l’ausilio di altri partner manifatturieri, gestiti dall’ingegnere Mirko Scandella e che costituiscono <la prima opera di tutta Expo ad avere completato la fase uno, sicché ora siamo già al passaggio successivo con la messa a punto degli interni e degli esterni>, dice Paolo Bentivoglio, a.d. della società che fa capo al gruppo bresciano TerraMoretti.
Anche il cluster del caffè promosso da Illy è a buon punto, con gli esterni già dipinti con il classico colore del caffè. Così dicasi del Pagliglione Zero destinato a ospitare l’area “media”, la cui composizione richiama una famiglia di trulli giganti dal cuore ligneo e copertura in pellicola nera ecocompatibile.
Molto avanti è anche il progetto del Principato di Monaco che ricicla veri e propri container sovrapposti su tre livelli e attrezzati per ospitare lounge bar, ristorante, zona vip e spazi per la didattica da dedicare <alla promozione dei prodotti tipici del Principato>, dichiara il responsabile del padiglione. Dichiarazione che suscita curiosità nel volere conoscere anzitempo la natura dei prodotti alimentari tipici della famosa Città-Stato, da tempo priva di spazi vitali destinati all’agricoltura. Per saperne di più però bisognerà tornarci a tempo debito.
Stessa storia e curiosità suscitano un po’ tutte le altre costruzioni visitate. E di tutte si può dire senza alcuna presunzione che, ciò che ora esiste, è ancora poco rispetto a ciò che l’opera sarà, per fare una descrizione completa. Per esempio, si prenda il Padiglione Cina (foto a fianco), atteso per essere un palcoscenico virtuale il più vicino alla realtà agroalimentare cinese, e dove al momento è scrutabile la sinusoide della struttura in acciaio appena assemblata. Si intuisce che l’opera sarà maestosa, ma è ancora poco per dare corpo a ciò che il rendering trasmette al cronista: ovvero, una copertura che in apparenza si accinge a spiccare un salto a volo d’angelo, con le ali che ondeggiano. E librarsi nel cielo di Milano.
Qualcosa di più si percepisce al Padiglione Israele, volto a esaltare l’innovazione tecnologica di un’agricoltura attuata in condizioni ambientali estreme. Ecco allora le strutture lamellari falsamente perpendicolari al terreno, destinate a diventare veri e propri appezzamenti coltivati a cereali, foraggi, ortaggi, sfidando la forza di gravità. E che dire del progetto Qatar realizzato in parte in muratura e tale da richiamare, almeno architettonicamente, a un complesso che parrebbe essere a mezza strada tra la moschea e la cattedrale.
Per finire con Padiglione Italia, il complesso più imponente per dimensione e genialità costruttiva applicata a una realtà assolutamente operativa. La struttura si affaccia nel corpo alto sulla piazza dell’Albero della vita e per un’altra parte lungo il Cardo, fino all’incrocio con il Decumano. Lo scheletro in acciaio del progetto firmato dallo studio Nemesi&Partner è quasi del tutto pronto, mentre fervono i lavori delle maestranze e delle gru che movimentano su e giù i materiali necessari per la ricopertura degli interni e degli esterni. E così accade anche per la parte più bassa, quella destinata a ospitare il Padiglione del Vino, di cui si vocifera sarà per sei mesi l’enoteca più grande del mondo affidata a VinItaly, ed espressione totalizzante dell’offerta vinicola nazionale. Già, il vino, complemento augurale necessario per brindare a un appuntamento destinato a meravigliare tutti. E, perché no, a segnare anche l’inizio di un’economia di crescita.
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