Vino in Usa: nel 2014 l’export italiano tiene, ma allunga sui principali competitori

 

Un bicchiere pieno a metà, che può voler dire anche vuoto a metà. Con la differenza che se per l’export di vino italiano in Usa fosse stato possibile fare di più di quanto fatto nel 2014, è anche vero che in una situazione congiunturale di rallentamento del totale import statunitense – 2014: 8,8 milioni di ettolitri per un valore di 3,95 miliardi di $, contro i 9,3 milioni di hl per 3,92 miliardi di $ del 2013 -, l’avere chiuso il consuntivo in linea con il 2013 è tutto sommato incoraggiante. Tanto più che i bilanci dei principali paesi competitori accusano arretramenti in qualche caso anche vistosi.

Secondo le prime proiezioni dell’Italian wine and food institute presieduto da Lucio Caputo, le importazioni Usa di vino italiano nel 2014 hanno sostanzialmente tenuto, con 2,471 milioni di ettolitri e1,34 miliardi di $, rispetto a 2,475 milioni di ettolitri e1,29 miliardi di $ del 2013. Ottima la performance dell’export di vino spumante, che ha chiuso l’anno con 421,ila ettolitri e 246 milioni di dollari, rispetto a 364 mila ettolitri e 215 milioni di dollari del 2013. Dati che assegnano all’export italiano una quota di mercato, rispettivamente, del 28% in quantità e del 34% in valore sul totale import di vino in Usa.

Per quanto ferma, l’incidenza italiana è superiore di circa un milione di ettolitri e di oltre 950 milioni di dollari rispetto al totale export del maggiore competitore italiano, l’Australia che nel 2014 ha chiuso con 1,6 milioni di hl esportati per 391 milioni di $, rispetto a 1,8 mln di hl e 437 mln di dollari nel 2013.

Ben più corposo risulta essere il margine di vantaggio dell’Italia rispetto al terzo, quarto e quinto paese inseguitore, vale a dire il Cile (1,5 mln di ettolitri e 276 mln di dollari nel 2014), l’Argentina (916mila ettolitri e 267 mln di dollar) e la Francia,  con 870 mila ettolitri e871 milioni di dollari.

Un risultato netto e tutto sommato positivo per l’Italia del vino conseguito, secondo l’Iwfi, praticando lievi incrementi dei listini, a fronte dei competitori che, invece, hanno dettato contrazioni in quantità e valore oscillanti fra l’8 e il 14 per cento.