Il viadotto Morandi sul Polcevra? Un brutto ricordo di una grande tragedia. Il nuovo ponte San Giorgio realizzato in meno di due anni? Niente di miracoloso, ma un fare normale da parte di persone e aziende che, con professionalità e competenze tecniche, si sono applicate rispettando regole e contratto concordato con il committente.
Lo si chiami pure “Modello Genova”, per dire di un modus operandi che in un Paese normale é la normalità. Sicché a coloro che nutrono dubbi sulla sua ripetibilità a Genova o altrove, il sindaco della Superba Marco Bucci fa sapere che il ponte San Giorgio è solo un anticipo di un programma ben più vasto e complesso che si intende realizzare per il futuro non solo di Genova. Attingendo le risorse necessarie dalle provvidenze comunitarie che si renderanno disponibili dopo il varo del Next Generation Ue o Recovery Fund conseguente alla sciagura sanitaria da Covid-19.
Progetti peraltro in parte già finanziati e in corso d’opera, come il rifacimento e prolungamento del lungomare verso levante affidato all’archistar Renzo Piano; l’elettrificazione dei trasporti urbani; il terzo valico ferroviario Genova-Novi Ligure, vitale per buona parte dell’Italia, in quanto piattaforma strategica per lo sviluppo dei traffici marittimi e terrestri da e per il nord Europa.
C’è questo e molto altro tra i lavori già calendarizzati su cui il sindaco Bucci (nella foto sotto, con la figlia Francesca) si è soffermato, spiegandone logiche e finalità, parlando del futuro della sua città al Rotary Club Milano Est. Un contesto fuori dai tracciati istituzionali per un amministratore politico che deve sbrogliarsi tra investimenti stimati per 15 miliardi di euro da un lato e, dall’altro, l’accesso a strumenti di sostegno comunitari per i quali il governo Conte a giorni dovrà darne conto a Bruxelles.
Dunque, un contesto inusuale per un politico, non certo per un manager di lungo corso e pragmatico qual è il nostro che, dopo anni di attività al servizio di imprese e multinazionali in giro per il mondo, si è prestato alla politica vestendo la casacca del civil servant. Nobile esempio di operatore che “restituisce alla collettività cittadina quanto da essa ha ricevuto in precedenza”, per citare lo stesso Bucci.
Ecco allora le grandi sfide socio-urbanistiche-economiche che attendono Genova alla prova dei fatti per i prossimi dieci anni, con effetti a cascata per altro mezzo secolo e più a venire.
Opere, cioè, come la nuova diga foranea (in foto il rendering), in sostituzione di quella tuttora esistente risalente a 120 anni fa; o come l’ampliamento del canale navigabile che permetterà alle grandi navi mercantili e crocieristiche di arrivare subito in porto, evitando di stazionare per giorni in mare aperto.
E ancora, l’efficientamento logistico del movimento merci da e per il porto, oggi raggiungibile via ferrovia solo per il 15 per cento: troppo poco rispetto al 40% dell’hub di Trieste. Il che rende il servizio estremamente antieconomico e tutt’altro che competitivo.
Come assurdo è il fatto che le navi provenienti da Suez preferiscano fare rotta direttamente su Rotterdam o Anversa, nonostante cinque giorni in più di navigazione.
Basta questo per intuire l’anomalia dello status quo e l’importanza di completare i già citati lavori ferroviari ad alta velocità che, peraltro, permetterebbero di collegare il capoluogo ligure a Milano in soli 45 minuti. Oggi un sogno, agli occhi dei mille e mille pendolari quotidiani.
E che dire della parte più propriamente urbanistica riguardante il ripristino dei grandi e bei palazzi d’epoca che testimoniano la storia di Genova, eppure da molto accusano il peso del tempo. Mentre decolla l’idea del Cerchio Rosso, l’insediamento multifunzionale progettato proprio sotto il nuovo ponte San Giorgio dallo studio di altra grande firma di architettura di livello qual è Stefano Boeri.
Non v’è dubbio, però, che l’opera più ardimentosa sta proprio nel cuore della città, ovvero nella riqualificazione del centro storico cantato da De André, ora strutturalmente malconcio, ampiamente disabitato, quand’anche regno di mercimonio e malfattori.
Un’opera complessa, appunto ardimentosa tale da coinvolgere decine di migliaia di abitazioni e un numero impressionante di cittadini. Il che in premessa tutto sembra fattibile, ma solo se c’è volontà e consapevolezza di dare corpo a una nuova e lungimirante politica educativa, culturale, abitativa.
Un approccio che, come lo stesso sindaco dice rifacendosi a Piano, deve necessariamente fare perno su un nuovo concetto di quartiere pulsante sufficientemente urbanizzato, per questo dotato di servizi e tutto ciò che serva per vivere al meglio delle opportunità. E allo stesso tempo aperto all’accoglienza.
Insomma, volere e potere al limite dei sogni. Tuttavia passaggi chiave più che mai essenziali da perseguire per una città che ha l’ambizione di contare e voler crescere in tutti i sensi. A cominciare dal numero degli abitanti, oggi appena 550mila unità rispetto a 750mila degli anni 80 del secolo scorso. Data di inizio di un lento e continuo declino di attività, posti di lavoro e residenti in fuga dal centro storico.
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