Sui dazi Trump rischia in casa: la California non ci sta, si spiantano vigne e a Verona il VinItaly fa il pieno di buyer

 

C’era da aspettarselo. Donald Trump, con il suo monologo in mondovisione e tanto di tabellina sui dazi doganali negli interscambi con paesi virtuosi (pochi) e cattivi (tanti), non solo non si è smentito su quanto aveva ampiamente preannunciato ancor prima di insediarsi alla Casa Bianca. Non solo ha incolpato il suo predecessore “dormiente” di avere reso le uova una merce rara, con il prezzo schizzato alle stelle del 250 per cento, ma nulla è stato detto sugli ettari di vigne di uve a bacca rossa (si parla di alcune migliaia) spiantate qua e là negli States, tra Los Angeles e San Francisco. Il motivo? Ufficiosamente carenza di personale, alti costi di produzione e, da quanto si vocifera a bassa voce, anche progetti per nuovi vigneti adatti a vini spumeggianti di più facile beva, che rimandano a denominazioni europee, propriamente made in Italy.

C’è questo e molto altro da considerare in una auspicabile e seria trattativa in materia di scambi commerciali tra Usa e paesi corrispondenti. Trattativa che il Governatore della California Gavin Newsom ha subito fatto capire di voler fare, ma in modo autonomo, come Stato contrario all’editto presidenziale. Per questo, invitando gli abituali partner commerciali a non applicare alcuna controritorsione tariffaria alle esportazione di beni made in California.

Trump, però, ha detto molto altro, peraltro utilizzando un linguaggio che di diplomatico ha ben poco, tanto da definire ladri e violentatori paesi amici e partner commerciali di antica data come l’Europa, e non so quanti altri, a suo dire colpevoli di avere depredato per decenni le risorse yankee.

Nei fatti, il tycoon presidente di quello che fino all’altro ieri era a tutti gli effetti il paese bandiera del libero mercato ha cambiato, deliberatamente e senza tanti preamboli, le carte in tavola del commercio internazionale. Proclamando il 2 aprile “giorno della liberazione”, con obiettivo finale di fare tornare grande gli Stati Uniti d’America.

Finalità certo onorevole e sacrosanta non solo per gli Usa, ma per chiunque abiti sotto questo unico cielo. Sintesi rispettosa di diritti, doveri e interessi di ogni bandiera di terra e di mare, tanto più se si tratta di individui, comunità, gruppi etnici d’ogni dove che in qualche modo hanno contribuito, e contribuiscono, con sudore e intelligenze a fare l’America per quella che è diventata.

Quella stessa America che generazioni e generazioni di italiani ed europei da sempre ammirano, rispettano e costruiscono sin dal primo sbarco di avventurosi marinai capitanati da un geniale Cristoforo Colombo che, con tre minuscole Caravelle prestategli dai regnanti di Spagna, affrontarono con coraggio l’ignoto, navigando per giorni, settimane, mesi. Scoprendo una nuova e rigogliosa terra chiamata America, dal nome di un altro glorioso navigatore italiano, Amerigo Vespucci. Basterebbe questo per vantare qualche diritto di proprietà.

Il punto però è un altro. E’ che dal cosidetto giorno della liberazione il mondo ha fatto un capitombolo che in tanti temevano, ma nessuno immaginava la portata dello sconquasso economico e finanziario sotto ai nostri occhi. Un danno enorme che ha colpito prima di tutti gli stessi States che, se non corretto per tempo, provocherà ulteriori e gravi ricadute su una quantità incredibile di beni e servizi da e per l’America, cominciando dall’acciaio all’abbigliamento, dai veicoli ai farmaci, dalle nuove tecnologie agli smartphone, ai beni di prima necessità come gli alimentari.

Per non dire del vino, quello vero e pregiato, che vede l’Italia primeggiare e di cui molto si dirà e si cercherà di capire in occasione del Salone internazionale VinItaly che proprio domani apre i battenti a Verona (6 al 9 aprile). Un appuntamento imperdibile che, non per caso, vedrà la partecipazione di diverse decine di migliaia di ospiti, curiosi, amanti del vino e buyer provenienti da ogni parte del mondo, a cominciare dagli statunitensi.

Signor Presidente Trump, mi permetta un suggerimento per dirle che il suo proposito di fare l’America great again è tutto in salita. Non perché è irrealizzabile, ma perché grande lo è già da tempo.

(C-riproduzione riservata)

Le analisi di “TerraNostra”: I dazi di Trump.

e-mail: basile.nicola@libero.it;   ndbasile48@gmail.com