“Nella vita, signorina, vedo che lei sposerà un uomo dalle mani belle e pulite, che viene da un’altra città e anche più giovane di lei. Avrà due figli maschi e per un periodo si trasferirà lontano da qui”.
“Dolly non dette peso …” alle parole dell’indovino. Ma, “a distanza di anni, visto l’avverarsi della previsione, io e Roby abbiamo ancora oggi un certo timore a farci leggere la mano”.
L’io narrante è un signore di origini friulane e visione cosmopolita, dai modi garbati nonché fine dicitore che rendono piacevole la sua compagnia. Si chiama Maurizio Mattarelli, è manager di lungo corso e consulente di aziende attive nel largo consumo, che nel pieno della pandemia da Covid-19 non s’è perso d’animo. Anzi, da pragmatico qual è, si è inventato un nuovo mestiere, quello dello scrittore. E per farlo ha rovistato nei cassetti della memoria di un secolo e passa di storia familiare.
Il risultato è che dopo mesi di silente e forzato isolamento con la compagna Marcella nella loro accogliente casa in laguna, Mattarelli ha sorpreso non pochi amici e quanti altri lo conoscono anche da più decenni, dando alle stampe un manoscritto dal titolo cinematografico alla Lina Wertmuller.
“Per strade familiari: tutti dovrebbero crescere conoscendo le proprie radici” è un libro che meno te l’aspetti da chi sai essere esperto di vendite, marketing, bilanci e campagne promozionali. Un racconto che è un condensato di sentimenti e trascorsi di vita familiare narrati con la semplicità del neofita. Che però rivela la saggezza di chi descrive un fatto non perché è successo, ma solo se quel fatto ha contenuti che vale la pena di essere raccontati. Soprattutto alle nuove generazione, come giustamente lascia intendere la dedica ai propri nipotini.
Contenuti descritti evitando l’enfasi del principiante e hanno il merito di facilitare una doppia lettura interpretativa di cose ed eventi che, sia pure in sintesi, rivelano forte legame alla terra vissuta da gente e famiglie le cui vicende sono un tutt’uno con la storia. Una storia di passioni, legami, addii e partenze verso l’ignoto. Ma anche vicende tragiche legate a quelle di una regione come il Friuli Venezia Giulia, di terre irredenti come l’Istria, Fiume e città di frontiera come Trieste. Terre, cioè, di scontri tra occupati e occupanti, destra e sinistra, patrioti e slavi, partigiani, comunisti e le macabre foibe titine. Un tutto che troverà ordine politico solo con il Trattato di Osimo nel 1975.
Cose ed eventi altrimenti noti, ma anche fatti e sequenze di una Italia più intima, appunto familiare e ciononostante che si interfaccia con i costumi che cambiano; con i rapporti sociali, politici ed economici che mutano; con l’industria e il terziario che prendono il sopravvento in un paese fino ad allora più rurale che altri. Nel mentre ci si apre all’Europa unita.
Ecco le famiglie che si spostano di regione in regione o emigrano, che vanno altrove dove c’è lavoro. O anche semplicemente si contagiano e fanno propri costumi e manie d’importazione. Tale è il caso del nome inglesizzato di Dolly che, affibbiatolo da bambina prevarrà per tutta la vita della giovane e bella Teodora, madre di Maurizio e di suo fratello Roby.
Ecco i ‘favolosi anni Sessanta’, di “quando papà – scrive il manager e neo scrittore (a dx nella foto accanto con genitori e fratello) – con la Lambretta veniva con gli amici a Monfalcone a fare il “figaccione”. Salvo poi restare catturato dalla bellezza di Dolly, conosciuta a una festa in casa, come si usava a quei tempi. Altro che discoteca.
Sì, “Dolly era bellissima e più grande di due anni di papà Luciano”, racconta Maurizio con maniacale precisione. In più c’era che allora i “triestini non erano amati dei monfalconesi …, perché venivano appunto in provincia a fare conquiste di ragazze”. Ma nel caso di Dolly e Luciano “fu lui a cadere come un perocotto, tanto che per parecchio tempo e temendo di perderla non le confessò la sua vera età”.
“Per strade familiari …”, storia di una famiglia, di una comunità, di una terra di frontiera del secondo dopo guerra, in un’epoca in cui l’Italia si rimboccava le maniche per avviare la Ricostruzione, in cui il lavoro bisognava andare appunto a cercarlo dove c’era. Bisognava farlo, perché allora come oggi, vigilia di Ripartenza, è l’unico strumento che dà dignità e benessere all’individuo. Costumi e usanze a parte.