L’Italia olivicola è finita in un cul-de-sac. E quella che si sta giocando in questi giorni ai più alti livelli della politica e della professione, potrebbe essere l’ultima partita buona per cercare almeno di evitare il knock-out, il Ko che manda a gambe in aria quello che da sempre è stato il Paese maggiore produttore, maggior consumatore e maggiore esportatore di olio di oliva al mondo.
Primati ormai perduti e senza ombra di un ritorno possibile. Con l’aggravante che ora la Xylella fastidiosa da un lato – 18 milioni di ulivi distrutti in cinque anni su una superficie di 90mila ettari nel solo Salento -, e la gelata della scorsa primavera dall’altro, hanno fatto crollare la produzione di olio di oliva 2018 ai minimi termini: 185mila tonnellate, il 57% in meno rispetto a 430mila dell’anno prima, e lontana anni luce dal fabbisogno domestico di 600mila tonnellate.
Tre primati che la Spagna ha sfilato, uno dopo l’altro in un quarto di secolo, a chi, sprecone di proclami a tutela dell’immagine del proprio extravergine d’oliva, si è dimostrato incapace di portare a compimento un briciolo di piano olivicolo degno di questo nome. Al contrario di quanto ha fatto Madrid (1,6 milioni di tonnellate la sua produzione 2018) che ha utilizzato tutte le risorse messe a disposizione dalla Ue, comprese parte di quelle che il Belpaese non ha saputo spendere. E dovuto restituire.
Ora, se con i ma e i se non si va da nessuna parte, resta almeno il fatto che ciò che è stato possa fare da stimolo a non ripetere gli errori passati. In questo va dato credito alle intenzioni del ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio quando dice, come ha fatto ieri, che <la Xylella non aspetta il ministro>, facendo capire che il tempo stringe e la peste dell’olivo si allarga a macchia d’olio.
Per questo ha deciso di chiamare tutte le forse parlamentari, di maggioranza e di opposizione, a trovare una quadra unitaria al problema che ha messo al tappeto la Puglia, regione che da sola fornisce oltre il 50% della produzione di olio di oliva. E che quest’anno non sarà per nulla in grado di fare da serbatoio di olio di oliva né di prima fornitura né di scorta.
Per di più, senza alcuna garanzia che la nuova annata sia più generosa, considerato il fatto che <non sappiamo ancora come reagiranno le piante colpite dalla gelata di un anno fa, mentre sappiamo che la Xylella continua senza ostacoli la sua azione distruttrice>, commenta Onofrio Spagnoletti Zeuli (nella foto) di Andria, titolare di una grande tenute olivicola modello e tra i protagonisti del neonato movimento dei cosiddetti “Gilet arancioni”, che da tempo sollecitano scelte politiche e operative che mettano fine a discussioni inconcludenti e bracci di ferro se sia meglio usare rimedi fitosanitari, o estirpare alberi, o lasciare che sia la natura a fare il suo decorso, come sostengono i “negazionisti” fratelli dei ben noti “no-vax”.
Motivo per cui giovedì 14 prossimo il movimento, che ha ricevuto apertura anche da parte di organizzazioni sindacali di categoria, ha chiamato a raccolta gli olivicoltori per una giornata di protesta, sfilando con i trattori per le vie di Roma. Iniziativa che Centinaio, giocando di anticipo, ha fatto sapere di comprendere e per questo di essere pronto a ricevere anche una delegazione di “Gilet arancioni”.
Una presa di tempo che dovrebbe servire a stemperare gli animi e che, per quanto comprensibile sia, non compensa certo il deficit strutturale e congiunturale che affligge da monte a valle la filiera olivicola nazionale. E pugliese in particolare. Un deficit che ha messo l’Italia con le spalle al muro, nella condizione obbligata di maggiore importatore di olio di oliva al mondo.