L’Italia ha 100 milioni di euro per promuovere entro il 2018 il vino italiano all’export, ma dimostra di non saperlo. O meglio, sa di averli ma non sa come spenderli, sicché chi è fuori dal Palazzo non capisce il perché dei ritardi che accompagnano talune scelte nella ripartizione dei fondi a sostegno dell’immagine del vino made in Italy.
Certo, la disputa tra istituzioni centrali, enti locali e competenze professionali non è una passeggiata, ma il risultato è che i mesi passano e le risorse che la Ue autorizza a spendere restano bloccati nei meandri della burocrazia. Con il rischio di vederli andare in fumo, a tutto vantaggio della concorrenza francese e spagnola che non resta con le mani in mano.
E sì, perché, ciò che in parte è già avvenuto è che in un 2017 che si preannunciava da record per l’export vinicolo nazionale (qualcuno aveva persino ipotizzato si potesse arrivare a 7 miliardi di euro), vien fuori che é già un buon risultato riuscire a bissare la performance del 2016. Proprio mentre i competitori più agguerriti, dalla Francia alla Spagna all’Australia, riescono a fare per davvero il botto.
Una prima seppure parziale conferma arriva dalle anticipazioni dell’Osservatorio Business strategy che ha monitorato i dati di Nomisma wine, secondo cui l’Italia l’anno passato ha esportato nei Paesi terzi (extra Ue) vini per 3,4 miliardi di euro, con una crescita del 5,9 per cento sull’anno prima.
Un bel risultato, non c’è dubbio. Ma poiché i confronti servono, ecco materializzarsi il fare meglio degli altri. Con la Francia cresciuta del 9,8% ( a 4,8 miliardi di euro), la Spagna che si “accontenta” del 9,7% e, fuori dall’Unione, il Cile ha chiuso con +7,2 e l’Australia su tutti con un +12 per cento.
Insomma, gap consistenti che suggeriscono come l’offerta nazionale sia condizionata da fattori riconducibili a una politica di prezzi medi in stagnazione, al rallentamento della crescita all’export in Usa e alla debolezza della proposta sui mercati dell’estremo oriente.
Fattori a cui se ne aggiunge un quarto, gli investimenti in attività promo e non solo pubblicitari, e a cui nei momenti di crisi si riserva poca considerazione. Un errore che un paese produttore ed esportatore di vino leader mondiale, qual è l’Italia, non può permettersi di fare.
Ma che purtroppo le beghe nella ripartizione dei 100 milioni di cui sopra, dimostrano che si continua a fare. Cosa che qualunque sia la ragione, é assolutamente inaccettabile.