Al vertice delle prime dieci aziende vinicole italiane così dette “Top di gamma” c’è Antinori, con 209 milioni di euro di fatturato. Segue Frescobaldi con 97 milioni; quindi Ruffino (93), Lunelli-Ferrari (84), Banfi (62), Masi (61), Fontanafredda e Terra Moretti appaiate a 45 milioni; per finire con il duo franciacortino Guido Berlucchi (44) e Ca’ del Bosco con 31 milioni di euro. (nella foto accanto, Piero Antinori con le figlie Albiera, Allegra, Alessia)
La classifica, su dati 2015, è stilata dallo Studio Pambianco Strategie d’Imprese di Milano, che al settore del vino italiano ha dedicato una ricerca ad hoc, con l’occhio rivolto a qualità di prodotto, immagine d’impresa e ritorno valoriale. Della serie, “la qualità paga”. Che è un modo di dire diretto se riferita a prodotti di … qualità. Ma è anche e spesso frase abusata, se priva di corrispondenza con dati di fatto. Tenuto peraltro conto che quand’anche si tratti di beni di eccellenza, non è detto che la percezione del contenuto qualitativo determini il medesimo ritorno per tutti i competitori in lizza.
Restiamo appunto al prodotto vino, che da sempre è per una moltitudine di persone un alimento che accompagna il pasto quotidiano. Oggi, per tanti altri é bevanda da meditazione, per altri ancora un ottimo medium per socializzare, per “nasi” esperti e gourmand sopraffini è oggetto di studio e di culto. E, da ultimo, per un ministro della Repubblica, anche approccio per i giovani di trovare lavoro. Che se fosse vero, dovrebbe spiegarne il segreto.
Ecco allora che se è comprensibile e scontato sentir dire dal produttore che il suo vino è di qualità, è ancor più logico che il consumatore chieda ma qual è il vino di qualità? Quello che costa di più? Quello meglio pubblicizzato? Quello “fatto con i piedi”?, per stare a esplicite dichiarazioni di una pur brava vignaiola che tuttora mena vanto di pigiare le sue uve con gli arti inferiori. Come si usava fare una volta.
Interrogativi banali, ma d’uso corrente nelle discussioni tra familiari a tavola, tra amici al winebar e, va da sé, anche tra blogger esperti della materia o finti tali.
D’altra parte le occasioni per parlarne sono sempre più frequenti e viaggiano alla velocità di internet. E certo non se la lasceranno sfuggire la prossima, i tanti frequentatori attesi al Salone internazionale del vino in calendario a Verona dal 9 al 12 aprile. Che si annuncia overbooking.
Di VinItaly me ne occuperò a tempo debito. Ora mi rifaccio alla ricerca Pambianco che ha spulciato nei bilanci di 171 aziende, il cui fatturato complessivo supera la bellezza di 6,2 miliardi di euro. Ebbene, la risultante più immediata è che a fronte di un fatturato cresciuto, anno su anno, mediamente del 5,2%, l’Ebitda (o Margine operativo lordo) è stato esattamente il doppio: 10,4 per cento. Dato di per sé strabiliante ma con forti distinguo, giacché del totale aziende studiate solo 48 pascolano nella fascia “alto di gamma”. Le altre 123 appartengono alla fascia “media”.
Va da sé che sono le prime a fare la parte del leone, vuoi per crescita media del volume d’affari – appena sotto l’8%, rispetto a un +4,6% delle aziende di fascia follower – e ancor più come generatore di plusvalore: Ebitda oltre il 23%, rispetto al +7,2% delle aziende di fascia media.
E che siano sempre i primi a volare alto, lo si capisce restringendo ulteriormente il campo d’analisi alle prime dieci aziende “top di gamma”, che sono le stesse già citate in apertura di servizio. Ebbene per questo nucleo ristretto, l’Ebitda s’impenna letteralmente oltre la soglia del 27 per cento. Con le prime due per fatturato – Antinori e Frescobaldi – che bissano anche le posizioni in quanto a ritorno economico, rispettivamente con il 42 e il 37 per cento. Seguite al gradino più basso del podio, ma oltre la media (31,2%), da Ca’ del Bosco. Quindi Ruffino (27,5), Masi (27), Berlucchi (19,2), Fontanafredda (17,2), Lunelli (16), Terra Moretti (9) e Banfi al 5,6 per cento. (nella foto accanto, la famiglia de’ Frescobaldi)
Il commento evaso degli estensori della ricerca è che per le aziende vinicole italiane “la discriminante per ottenere margini elevati è la fascia di appartenenza in cui si opera”. Laddove “l’imperativo è puntare alla fascia alta del mercato”, potendo contare però di “prodotti di altissima qualità, comunicazione mirata, distribuzione internazionale, risorse finanziarie e una forte determinazione a intraprendere un percorso di qualificazione e innovazione dei propri prodotti”.
P.S.: Nella ricerca si dice che fuori classifica delle top ten è l’azienda Sassicaia a conseguire l’Ebitda più alto in assoluto con il 55,2%, su un fatturato di 27 milioni di euro. Domanda: che ne è di marchi celebri e celebrati in tutto il mondo come Allegrini, Gaja, Tasca, Quintarelli …?