“I libri non si buttano mai”, scandì con voce ferma l’anziano prof di Matematica rivolto all’intera classe di terza media, mentre redarguiva un compagno colpevole del lancio dalla finestra di un testo del suo vicino di banco.
Una bravata tra ragazzi, diremmo oggi, finita con l’autore a cospargersi la testa di cenere, andare in giardino a recuperare il corpo del reato e, per finire, una nota in condotta con l’invito a tornare il giorno dopo accompagnato da un genitore.
Allora, nei primi anni Sessanta, usava così nelle scuole della Repubblica: i prof, chi meglio chi peggio, insegnavano ed educavano, ma venivano tutti rispettati da alunni e genitori.
Oggi non oso pensare come sarebbe potuta finire una vicenda simile, visto quel che è capitato l’altro giorno a un prof di Palermo che, per molto meno, è finito all’ospedale.
Certo, la società non è tutta così violenta, ma se è l’istituzione che rinuncia preventivamente a fare formazione (a quando il ripristino nell’ordinamento scolastico di Educazione civica, materia apparentemente insignificante ma utilissima?), c’è poco da meravigliarsi se la deriva gossippara finisce per imporre le sue regole.
Alla faccia di enunciazioni e proclami che si ispirano al bello, alla qualità, alla cultura del fare. Dobbiamo aspettarci di sentir dire che anche questo è “made in Italy”?