È deceduto questa mattina, a Rimini, Luigi Benzi, detto “Titta il Grosso”. Senza di lui il regista Federico Fellini (5 premi Oscar) non avrebbe potuto raccontare meglio i costumi della provincia italiana del primo dopoguerra, soprattutto non avrebbe avuto un modello già vissuto da raccontare in “Amarcord” (io mi ricordo, in romagnolo): il modello della famiglia di Titta a cui Fellini si era ispirato. Compreso il fantasmagorico Teo (Ciccio Ingrassia), il matto che, riparato su un albero, reclama il sacrosanto diritto di “voglio una donnaaaaaa!!!”.
Luigi Titta Benzi aveva 94 anni – era nato a Rimini l’8 marzo 1920 -; figlio di un capomastro, era stato a lungo compagno di scuola di Fellini, un’amicizia intensa durata tutta la vita, con le ben note scorribande nella Rimini degli anni Trenta raccontate, appunto, in “Amarcord” (premio Oscar nel ’73) e ne “i Vitelloni”.
Avvocato penalista di lungo corso, attività esercitata fino a pochi mesi fa, Benzi nel 2002 era stato insignito dalla Città di Rimini con il “Sigismondo d’Oro” per essere stato “fedele custode della memoria di Federico Fellini”, per “l’esemplare attività professionale”, per “l’attaccamento alla tradizione e alle radici della terra di Romagna”. Nella sua immagine e in quella della sua famiglia, il ricordo di un’Italia che nonostante tutti gli orrori dell’epoca ce l’ha fatta a crescere culturalmente, socialmente, economicamente.