Aspettando “Vous êtes pleine de désespoir…”: al #DanaeFestival (Milano) il futuro è già qui a passi di danza

di Giulia Maria Basile

Creare occasioni, momenti d’incontro tra persone e arti teatrali. Un messaggio netto quello che fin dalla sua nascita il Danae Festival ha espresso in tutte le sue forme, con lo scopo di comunicare e approfondire il concetto di teatro, sempre in evoluzione. E lo ha fatto anche quest’anno, alla sua 18a edizione.

 

locandinaIl 12 e il 13 dicembre, presso lo Spazio O’ della rinnovata zona ferroviaria Garibaldi a Milano, andrà in scena la prima assoluta di “Vous êtes pleine de désespoir” – Una sirena, (a fianco, la locandina), ultima produzione del Teatro delle Moire e di Alessandro Bedosti. Lo spettacolo è la coda scelta per concludere definitivamente l’edizione del Danae 2016, la cui prima parte si è tenuta a cavallo di ottobre-novembre, con 20 giorni di spettacoli sparsi per tutta la città.

 

La danza è stata l’elemento fondamentale di questa edizione, presentata nei suoi molteplici volti e l’inesauribile ricerca di sfumature che ne deriva. Tra gli artisti emergenti, Annamaria Ajmone con “Slide in B” e la riflessione sullo spazio e il movimento nella meravigliosa cornice di Palazzo Durini (nella foto, il Chiostro), sede di BonottoEditions.

 

palazzo-durini-il-chiostroPartendo dall’idea di riscoprire spazi non teatrali attraverso azioni, gesti e passi di danza che rendono nuova vita a quegli stessi spazi, dal 2015 Ajmone ha sviluppato il progetto delle “Pratiche di abitazione temporanea”, di cui Slide in B è appunto la nuova tappa. Con i soli elementi del proprio corpo e dell’universo sonoro governato dalla maestria tecnica di Caned Icoda, che ne ha accompagnato movimenti e flussi gestuali senza mai sovrapporsi né meramente assecondarli, il talento giovane eppure già premiato della Ajmone si è sprigionato in quattro diverse sale comunicanti.

 

Il pubblico era libero di seguirla da un ambiente all’altro, di sedersi, di andarsene e tornare, eventualità che tuttavia non è stata optata dalla maggior parte dei presenti; anzi, in 180’ di spettacolo – non a caso definito durational performance – si è potuto assistere via via a un aumento di pubblico, sempre più entusiasta. Ecco perché agli elementi dell’ambiente, della danza performativa della Ajmone, e dell’aspetto sonoro curato da Icoda va aggiunto il quarto elemento del pubblico, che può farsi coinvolgere come e per quanto tempo desidera.

 

Ma se decide di farlo, ecco che si tuffa in una corrente di movimenti dove la linearità è astratta e i colori sono molteplici, come quelli degli abiti che indossa la danzatrice creati dallo stesso Icoda: un’ampia tuta realizzata con stoffe differenti per tessuto e fantasia, sotto la quale poi scopriamo esserci un’altra tuta, più essenziale e aderente al corpo danzante. La sensazione è quella di evadere dal mondo metropolitano, allontanarsi dalle impalcature che gestiscono il nostro quotidiano e ne determinano gli eventi per approdare in un non-luogo, o comunque una visione differente di quelli che sono i luoghi per come solitamente li guardiamo.

 

liceo-artistico-u-boccioniLa danza può intessere nuovi dialoghi con l’ambiente in cui si attua, ma anche con discipline a cui abitualmente non la accostiamo. Ecco quindi che una delle proposte internazionali che il Danae Festival ha offerto è stata “La Partida”, presso la palestra del liceo artistico Umberto Boccioni, dove si è scatenato un connubio fra la danza e il calcio che ben presto è diventato sotto i nostri occhi metafora dello scontro-incontro fra mondo femminile e maschile. È la danzatrice e coreografa Vero Cendoya a coniugare queste due entità, composte da cinque danzatrici e altrettanti calciatori determinati a condurre una partita come fosse una guerra.

 

Non c’è retorica, ma vengono sottolineati temi attuali come la problematica tutta femminile del tenere in piedi la maternità e il lavoro, e le aspettative sociologiche che si imbattono in contrasti sempiterni che invece di svanire si acuiscono nel contemporaneo. Non mancano quindi drastiche incomprensioni di genere, rese anche udibili attraverso la riproduzione acustica di discorsi di personaggi pubblici riconoscibili, esemplari di una certa miopia socio-culturale. E intanto si assiste a sacrifici di capri espiatori, gol segnati approfittando delle incombenze della vita dell’avversario, ma soprattutto nessuna rassegnazione, bensì riconoscimento di quelle che sono per ciascuno le proprie esigenze. Tutto questo sviluppato con estrema raffinatezza e ironia, consapevolezza del proprio ruolo e prepotenza nel volerlo imporre all’altro. Intorno a questo, è presente anche una tifoseria affiatata per entrambe le parti e un arbitro eccentrico, che regala momenti di puro spettacolo nel suo esternare un’esilarante quanto inaspettata prospettiva sul mondo, tutt’altro che arbitraria.

 

Ed è sulle note di violino suonate dal vivo da Adele Madau e le parole cantate dall’arbitro Mikel Fiol – tra cui il proverbiale “you get me down” – che si conclude questa guerra diventata danza, questa straziante e ironica battaglia che in definitiva si trasforma nell’ammissione più difficile di tutte: nonostante tutto, non possiamo fare a meno gli uni degli altri.

 

A un mese di distanza è il momento di “Vous êtes pleine de désespoir” – Una sirena, riflessione contemporanea su uno dei miti più antichi che la cultura occidentale ha raccolto. La curiosità è ancora tanta.

basile.giuliamaria@gmail.com

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