Rimini/2: La “lunga marcia” della cultura che sta rivoluzionando l’ex capitale del divertimentificio

Il corale plauso che ha accompagnato la rinascita del Teatro Galli di Rimini è scritto nei fatti. Esso dice molto più di quanto possa far pensare il solo ritorno alle scene di questo storico tempio della musica e del bel canto, preceduto di pochi mesi dalla riapertura del Fulgor, la sala cinematografica cara a Federico Fellini, reinterpretata come teatro di posa dalla maestria dello scenografo premio Oscar, Dante Ferretti.
Fulgor e Galli, due siti d’arte rimasti a lungo e per ragioni diverse abbandonati all’incuria del tempo. Ora tornati a splendere di luce propria per convinzione e testardaggine di quanti ritengono che la cultura, comunque essa si manifesti, sia sempre un valore aggiunto. Non di meno per risorse e impegno suffragati dal piano di sviluppo dei “Contenitori culturali”, progetto decollato nel capoluogo romagnolo e che ha fatto da apripista a non so quante altre iniziative similari nel resto della Penisola.
pivato-sia-lodato-bartali-il-mito-di-un-eroe-del-novecentoFinalizzato al recupero e al rilancio di monumenti storici, opere d’arte, supporti museali e iniziative collaterali, il progetto prende forma nei primi anni Duemila. Se ne fece interprete il professore Stefano Pivato, saggista e docente di Storia Contemporanea alla Sorbona di Parigi, Trieste e Urbino, dov’è stato anche Rettore di ateneo e, dal 1999 al 2009, assessore alla Cultura di Rimini: l’unico nella Giunta guidata dal sindaco Alberto Ravaioli a non avere tessere o appartenenze partitiche.
L’obiettivo era quello di pianificare una strategia che portasse a un cambiamento di passo in favore di un turismo più colto, che non fosse solo il pacchetto standard del #tuttocompreso camera-sdraio-ombrellone-piadina e discoteca. Un turismo, cioè, aperto a nuove opzioni rappresentative del territorio, aventi a che fare con storia-paesaggio-#saperi&sapori. Come dire, valori immateriali e beni tipici locali che nelle terre di Cesare Augusto sono comunque a portata di mano. Basta cercarli, che ti vengono incontro.
ponte-di-tiberioCosì è per monumenti come il ponte di Tiberio all’imbocco dell’antico porticciolo romano tuttora oggetto di lavori di ripristino, l’Arco di Augusto e il Museo Archeologico a Sud della città. O, ancora, la Domus del Chirurgo scoperta casualmente sotto le radici di un grande platano nel 1989 e restituita all’umanità l’altro ieri, con il fine restauro eseguito nell’ambito del progetto “Contenitori” che ha reso testimonianza di quanto fosse alta la considerazione di allora per la cura e la salute dei cittadini.
Un elenco che può continuare a lungo con manufatti e costruzioni di epoca più moderna come il Tempio Malatestiano, con i suoi marmi pregiati e opere di grandi maestri della pittura rinascimentale; di Castel Sismondo; del complesso degli Agostiniani. Fino alla Civica biblioteca Gambalunga, in assoluto la più antica biblioteca pubblica d’Italia, per la quale si approssimano quest’anno le celebrazioni per i quattro secoli dalla fondazione.
Insomma, un cambiamento di passo reale rispetto alle politiche di sviluppo unidirezionali che, nei decenni della seconda parte del secolo scorso, sono state concepite su misura per l’industria del #turismodimassa. Un approccio che negli anni del boom economico ha permesso di spingere sull’acceleratore e dato vita al fenomeno universalmente noto come #divertimentificio..
Questo fenomeno per certo ha dato visibilità e portato ricchezza al territorio, tanto quanto abbia favorito colate di cemento che hanno fatto della costa romagnola la striscia di terra con la più alta concentrazione alberghiera d’Europa. Il che non è un peccato, se non fosse per quel fare cinico che per anni ha permesso a Rimini di <crescere a dismisura, troppo in fretta e senza una minima programmazione>, commenta pacato e tagliente il professor Pivato, che mi riceve nel suo studio circondato da pile di libri, riviste e ogni tipo di fascicoli accatastati su sedie e poltrone di casa, a Marina Centro.
rimini-stefano-pivato-visto-da-ettore-scolaAllora, professore, com’è stato possibile vedere questa città crescere senza uno straccio di programmazione?, cioè la capitale del turismo che, pur non avendo i marciapiedi, ha fatto dell’organizzazione e dei servizi una bandiera da esportazione.
Domanda retorica che a Pivato (accanto, originale schizzo del regista Ettore Scola che “TerraNostra” pubblica in anteprima assoluta) sembra un invito a nozze, posto che il racconto parta da lontano. Da quando, cioè, Rimini si è trovata a essere da un giorno all’altro <la città più bombardata d’Italia nel secondo conflitto mondiale, per cui ovunque s’è dovuto intraprendere tutto da zero, dando vita alla Ricostruzione. Come dire di uno dei periodi più significativi della nostra storia nazionale che ha accompagnato e inciso sulla trasformazione del tessuto sociale ed economico dell’intera Penisola.
<Un periodo che, a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta – aggiunge Pivato –, è stato caratterizzato da una crescita tumultuosa senza precedenti. E spesso senza regole. È questo il periodo del boom economico, della prima televisione, del primo frigorifero, dell’utilitaria. Sono gli anni in cui milioni di italiani emigrano dal Sud per trasferirsi al Nord a lavorare in fabbrica, o espatriano; le campagne si svuotano e le città si urbanizzano sempre più>. Tutto e subito, senza preparazione né tempo sufficiente per programmare.
rimini-la-spiaggiaRimini non si discosta da questo quadro. Anzi, con il lavoro e il reddito che aumenta, gli italiani scoprono anche le vacanze al mare. E la costa romagnola, con le chilometriche distese di spiaggia diventa facile meta o approdo per milioni di turisti, con migliaia di forestieri che, giunti per una vacanza, decidono di mettere tende in pianta stabile in zona. Con tutti i vantaggi e i disagi di ben facile immaginazione, a cominciare dalla trasformazione dell’antico e storico villaggio romano in quella che oggi Pivato definisce <città aperta, moderna, tollerante, senza pregiudizi e “bastarda” nei costumi e negli interessi. Una città in cui, come suggerì anni fa l’illustre concittadino Sergio Zavoli, si dovrebbe fare un monumento dedicato alla Cambiale>.
Che non è una citazione riferita all’oggi, anche se con ironia ben si associa a vicende non solo locali di un certo sistema bancario che si riteneva solido e, invece, si è scoperto affidato a mani incompetenti o, se si vuole, troppo generose nel fare credito a imprenditori o pseudo tali privi di sufficienti garanzie.
No, la narrazione del nostro interlocutore dà un’impronta a quella che è stata l’evoluzione antropologica che ha segnato il costume di <una città che nel 1843 è stata la prima sulla costa adriatica a dotarsi di uno stabilimento balneare, seconda in Italia solo a Viareggio>. Un particolare, questo, che anticipa tutta una serie di investimenti in strutture alberghiere succedutesi nel tempo, prima con caratterizzazioni elitarie e, successivamente, allargate a una domanda più borghese e diffusa. Sono appunto gli anni della Ricostruzione postbellica che, come già detto, comportano complessità e problemi tipici che accompagnano i tempi dello sviluppo tumultuoso e disordinato.
Analisi a cui Pivato da storico e saggista qual è – tra i titoli più noti cito “I comunisti mangiano i bambini, storia di una leggenda”; “Favole e Politica” (Il Mulino editore);“Sia lodato Bartali, mito di un eroe del Novecento” di cui l’editore Castelvecchi ha recentemente ridato alle stampe l’ennesima edizione – aggiunge la non trascurabile collocazione politica di Rimini che, in quanto <città che dal dopoguerra è sempre stata a sinistra, non ha manifestato troppe simpatie per la cultura, perché non dava da mangiare>.
rimini-kursaal-grandhotel-300x209ll che lascia intuire che se il Kursaal (accanto, a sinistra in una foto del primo Novecento) e il Teatro Galli sono rimasti abbandonati per decenni, questo è avvenuto per leggerezza o insipienza di quanti avevano il non facile problema di gestire una cittadina che dava più importanza alla crescita materiale e non certo alla cultura. Sbilancio ben evidente nell’aneddoto che fa dire a Pivato di come <a ridurre in macerie il Teatro Galli non è stato tanto il bombardamento in sé, che pure ha fatto danni, ma il comportamento di quei cittadini che nei giorni successivi alle bombe presero d’assalto l’impianto ferito, facendo scempio di ciò che era rimasto in piedi e portando via tutto ciò che era rimasto di spendibile e utile per riprendere da subito l’attività del teatro>.

Le storie di “TerraNostra”:Rimini, viaggio nella città che cambia/2, continua
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